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mercoledì 23 agosto 2017

STORIA DI SAN FELE. Riscoprire la storia per aprirsi ad un nuovo presente e un nuovo futuro


San Fele è un comune di circa 3.500 abitanti della provincia di Potenza. È situato nella parte Nord-Occidentale della Basilicata e fa parte della Comunità Montana del Vulture. È un comune prettamente rurale. Ricordato per la nascita di San Giustino de Jacobis e per la presenza di uno dei maggiori santuari lucani: Santa Maria di Pierno. Come tutti i paesi del Mezzogiorno, San Fele ha subito una forte emigrazione, che si può suddividere in due fasi. La prima quella che va dalla seconda metà del XIX secolo al Primo Dopoguerra. In questa circostanza le mete erano oltre oceano, ossia l’America (in particolare Brasile, Argentina, Stati Uniti e Canada)La seconda invece va dal Secondo Dopoguerra fino al giorno d’oggi. Nei primi decenni, cioè quelli del Boom Economico, le famiglie si trasferirono soprattutto verso Svizzera (in particolare nei dintorni di Lucerna e Zurigo) Germania, Belgio e Nord-Italia (in particolare Piemonte, Lombardia e Toscana). L’emigrazione degli ultimi anni è costituita da giovani che raggiungono le più importanti città italiane (in particolare Torino, Milano, Firenze, e Roma)Storia del paese
Nel lontano 1139, il paese divenne una Baronia ed ebbe il suo stemma: uno scudo sannitico su cui sono disegnati tre montiIl territorio del comune di San Fele, in epoche lontane, prima che vi fossero costruiti il castello (969 d.C) e le abitazioni (1036 – 1037 d.C) fu abitato dagli Ausoni, un popolo che si pensa provenisse dall’Asia. Nelle zone di Santa Croce, di Pierno e della Civita, vi sono grotte dove si trovano graffiti, che dimostrano la presenza in passato di questo popolo. Agli Ausoni si aggiunsero, verso il 200 a.C, gli Indoeuropei, provenienti dall’Iran, che si fusero con gli Ausoni. Verso il 1790 a.C., partiti dall’Arcadia (Grecia), approdarono nei pressi di Metaponto (MT) e si diressero verso il nord della Lucania, numerosi Pelasgi chiamati così dal loro re Pelasgo, che sconfissero Quando poi i Dorici, gli Achei, gli Ioni occuparono le spiagge dell’antica Enotria, i Pelasgi si ritirarono sempre più all’interno tra monti e boschi portandovi la loro civiltà.Numerosi sono infatti i reperti di matrice greca: vasi di argilla, statue, iscrizioni, ritrovate anche nella (Civita) di San Fele. Secondo gli storici, nel secolo ottavo a.C. giunsero in Lucania ed anche nel nostro territorio popolazioni prima residenti nel Molise, guidati dal Luco Lucio, da cui, secondo alcuni studiosi, sarebbe derivato il nome Lucani. Il popolo di Luco Lucio attaccò molte colonie greche dello Ionio e del Tirreno: Metaponto ecc. Nel 1510 a. C. estesero il loro dominio nella Brezia (Calabria) spingendosi fino a Leucopetra, sulle coste della Sicilia. Dopo la caduta dell’Impero Romano, la Lucania, come il resto dell’Italia, venne occupata dai Normanni, i Sassoni e i Longobardi. Nel 969 d.C. fu costruito il castello, come difesa contro gli assalti dei Bizantini dopo la battaglia di Bovino (FG), da Ottone primo di Sassonia, imperatore del Sacro Romano Impero.Le prime case di San Fele furono costruite quasi a ridosso della muraglia esterna del castello.Il paese si estese ancor più quando gli abitanti di Vitalba (città alle falde del Monte Vulture), furono costretti a raggiungere le alture in seguito alla malaria.
Fu così che la pendice orientale del castello, accogliendo i primi ospiti, vide aumentare il numero delle sue abitazioni che si estesero poi fino alle zone estreme della montagna. Nel 1139, San Fele divenne una Baronia ed ebbe il suo stemma: uno scudo sannitico su cui sono disegnati i tre monti: Torretta, Castello e Castelluccio. Sulla cima del monte più alto c’è un genio alato, che regge un globo d’oro nella mano sinistra In alto c’è il motto “son felice son fedele, stò sul monte per vedere. In epoca normanna San Fele e la vallata rientrarono nella contea di Lampo Fasanella, anche se agli inizi dell’epoca il controllo sui luoghi fu esercitato da Gilberto da Balvano. La famiglia di costui, negli anni 1189-1197 fornì i mezzi finanziari per la costruzione del Santuario di Pierno. Nel 1197 moriva Re Enrico, lasciando suo figlio Federico II di appena 3 anni. Costui, affidato alle cure di Papa Innocenzo III, che provvide alla sua educazione religiosa e letteraria, divenne Imperatore nel 1212. Nel 1225 lautorità regia in San Fele era rappresentata dai tre Bàiuli: il milite Valentini, Riccardo Toscano e Riccardo Bonifacio, i quali, oltre allesazione delle rendite feudali, amministravano anche la giustizia, in collaborazione con i cosiddetti buoni uomini, dai quali poi ebbe origine in molte terre il sindaco, non come capo amministrativo, ma come procuratore e rappresentante della collettività o Università. Nel 1231 lImperatore emanò le famose Costituzioni Melfitane a cui fece seguire dei decreti che stabilivano varie imposte Monopolio di Stato. Vari furono i dazi e le imposte indirette, come quelle sul fondaco o l'aliquota focularia.
La pressione tributaria era elevata e ciò provocò sanguinose rivolte nelle terre del Regno. Intanto il figlio dell'Imperatore, Enrico, tramava contro il padre; fu scoperto e privato del Regno, che fu affidato al fratello Corrado ed egli fu menato prigioniero con la moglie e i figli, nel castello di San Fele. Nel 1250 moriva Federico II. Il figlio Manfredi, reggente del Regno fino allarrivo nel Meridione del fratello Corrado, nominò il fratello Enrico (il minore) vice  Re di Sicilia. Invitò poi tutti i Baroni a prestare giuramento di fedeltà al nuovo Re Corrado, il quale temendo che il fratello Enrico potesse togliergli la corona, lo fece deportare con laiuto degli Inglesi, dalla Sicilia, ove esercitava le funzioni di vice  Re, nel castello di San fele, dove Giovanni Moro, il più temibile dei Saraceni di Lucera, nominato da Manfredi castellano e custode del castello  fortezza, prima propinò il veleno e poi strangolò il moribondo fanciullo con le sue mani (M. Paris). A Corrado successe Manfredi. Nel 1258 questi, sebbene nemico del Papa Innocenzo IV, il quale aveva minacciato di mandargli contro un forte esercito, fu costretto a fare atto di sottomissione al Papa. Anche Giovanni Moro fece atto di sottomissione al Pontefice e come segno dellavvenuta riconciliazione concesse la libertà ai numerosi prigionieri milanesi, fatti rinchiudere nel castello da Federico II di Svevia, in seguito ad un tentativo di ribellione, ma vietò ad essi di allontanarsi dal centro.
Il paese vedeva così aumentare il numero dei suoi abitanti con i milanesi liberati che, crearono nuove famiglie e quindi nuovi quartieri: il Nocicchio, l’Airola, i Trave, San Vito, la Torretta. Intanto Manfreda Maletta, zio materno del re Manfredi, si era fatto nominare Gran Camerario e nel 1259 si fece assegnare numerosi beni che la Chiesa di Pierno aveva in San Fele, Muro, Melfi e Rapolla. Questi fece costruire in San Fele, per conto della stessa chiesa, un forno presso la casa Pasca de Michele; un mulino sul torrente Bradano ed una gualchiera sullo stesso fiume. Il Maletta nel gennaio del 1262, per giustificarsi con il Papa Urbano IV di tali usurpazioni, si fece redigere dal notaio Giovanni di Nusco un documento nel quale affermava che i beni di Pierno venivano da lui posseduti a solo titolo di locazione e che la terza parte delle rendite veniva corrisposta al Monastero del Goleto, di cui la chiesa era suffraganea. Il Papa Clemente IV, pur di togliere il Regno a Manfredi, si rivolse a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, che con un forte esercito scese in Italia,sconfisse lo Svevo presso Benevento il 26 gennaio 1266 e fu proclamato Re di Sicilia.Qualche anno dopo, nel 1268 scese in Italia dalla Germania, Corradino di Svevia, figlio di Corrado per riconquistare il Regno toltogli da Carlo dAngiò, ma venne sconfitto.
Appoggiarono Corradino, ad eccezione di San Fele, che dipendeva dalla Regia Curia, quasi tutte le località della valle: Armaterra, Vitalba,ecc. Carlo dAngio si apprestò quindi a consolidare il suo potere, a destituire i feudatari a lui infedeli e da un atto del 1390 in cui si parla del Casale di Armaterra, in territorio di San Felice. La grancia di Pierno, il Maletta la restituì alle suore del Goleto. Egli cercò di entrare nelle grazie di Carlo dAngiò, consegnandoli come ex Gran Camerario, il tesoro della corona e rimase a corte, perché, come dice il Salimbene, si rendeva ospite gradito per la sua versatilità Durante il dominio degli Angioini, iniziato nel 1266, i Sanfelesi furono sottoposti a maltrattamenti e soprusi di ogni genere, perciò serpeggiavano diffusi malumori, alcuni, temendo rappresaglie, si erano dati alla macchia , come Giovanni Coppola e Marcello da San Fele. E quando l’imposizione fiscale, che gli ufficiali corrottissimi raddoppiavano, rese insopportabili le condizioni di sopravvivenza dei cittadini in seguito ad una nuova tassa, questi insorsero nel 1273, dando vita al Vespro della Valle di Vitalba, riportato dalla tradizione, che precedette di ben nove anni i Vespri Siciliani. Per far fronte alle spese delle nozze della figlia Beatrice, Carlo d’Angiò “cupido ed avaro” aveva aumentato il tributo per quell’anno di trentamila once d’oro, ma i Sanfelesi si rifiutarono di pagare, sottoponendosi al carcere ed alle percosse.
Quando poi un soldato francese tentò di violentare la figlia di un mercante Sanfelese, Bartholomeus de Ruggiero, scoppiò la rivolta. Tutti gli abitanti del casale, per sottrarsi alla vendetta si rifugiarono nell’impenetrabile bosco di Santa Croce e riuscirono per più di un anno ad opporre resistenza ai soldati francesi. I Sanfelesi:”gens in armis potens et stolide ferox” (popolo potente nelle armi ed estremamente coraggioso) ritornarono in San Fele il 15 agosto 1274, perdonati dal re, per intercessione di Altruda, discendente di una potente famiglia normanna, dopo essersi recati a ringraziare la Madonna nel Santuario di Pierno; forse per questo la festività della Beata vergine di Pierno ricorre appunto il 15 agosto. Con la dominazione Angioina il paese fu denominato San Feli, per poi passare al nome attuale di San Fele. Fu in questo periodo che le devastazioni, causate dalle guerre, che affliggevano il regno e la malaria, causarono la scomparsa dei centri vicini come Armatieri, Civita, Montesirico e Vitalba. Documenti importanti delle condizioni delle terre sotto gli Angioini erano i cosiddetti “Cedulari” o schede di imposte per la Basilicata. Essi sono gli unici indizi che noi abbiamo della popolazione di ciascun centro abitato. Le tasse erano formate dall’imposta fondiaria e dai tributi diretti e indiretti: pedaggi, dogana, tassa sui forni, sui mulini, ecc Esse venivano ripartite per ogni fuoco o famiglia e la loro esazione era vigilata dagli “executores"
Dall’imposizione tributaria “Die XXVI Decembris 1278″ si rileva che i feudi della Valle versavano complessivamente un’imposta di 34 once, 17 tarì, 4 grane; San Fele, invece, ne versava da sola 48 once, 13 tarì, segno evidente della considerevole crescita di questo. Morto Carlo d’Angiò, nel 1285 gli successe Carlo II, a questi Roberto d’Angiò e infine il nipote Carlo Martello, che aveva 2 figlie: Giovanna e Maria. Maria sposò il cugino Carlo duca di Durazzo, mentre Giovanna sposò il cugino Andrea, fratello del re di Ungheria. Nel 1343 morì Roberto d’Angiò e Giovanna divenne regina di Napoli. Costei ebbe ben 4 mariti, tra cui, per ultimo, Ottone di Brunswuich, che nel 1838 fu sconfitto da Carlo di Durazzo. Questi divenne re con il nome di Carlo III e fece uccidere nel castello di Muro, Giovanna I, mentre Ottone fu mandato nel castello di San Fele.Con la regina Giovanna II, ser Gianni di Caracciolo nel 1416 riceveva la Grande Baronia della Valle. La lotta per la successione al trono di Napoli che si combattè alla morte di Giovanna II, fra Renato d’Angiò e Alfonso V re d’Aragona e Sicilia durò dal 1435 al 1442. Vinse Alfonso d’Aragona, che prese il nome di Alfonso I, re delle due Sicilie. Nel 1438Renato d’Angiò aveva affidato ad Antonio Caldora, cavaliere di ventura, il compito di sottomettere i paesi e le città che aderivano agli Aragonesi. Quest’ultimo commise saccheggi, devastazioni e incendi e a San Fele distrusse l’inespugnabile castello con le sua bombarde. Con gli Aragonesi arrivarono da noi molte famiglie spagnole. Senza dubbio, i tempi più miseri per il Regno di Napoli furono quando diventò provincia di Spagna. Le imposte aumentarono, il re, ordinata la numerazione dei fuochi, decretò che per ogni fuoco si pagassero 10 carlini, tassa che nel giro di pochi anni andò aumentando fino a carlini 42. Si contavano però solo i fuochi fumanti. Maggiore contributo, a stare alle leggi, avrebbe dovuto darlo un ricco, ma siccome i ricchi comandavano, si era stabilito che i poveri dovessero pagare, completando la somma da pagarsi i ricchi, ove ve ne fosse bisogno”. Oltre allo spadroneggiare dei nobili e dei feudatari, a cui bisognava pagare numerosi pedaggi, che non furono aboliti del tutto prima del 1789, vi fu quello dei banditi per la campagna che uccidevano per un non-nulla. Il 5 dicembre 1456 un disastroso terremoto arrecò molti danni alla Valle e a San Fele. Furono gravemente danneggiati anche la Ciesa e il Convento di Pierno.
Nel 1674 una frana distrusse la zona della piazza del mercato, dove si trovavano le abitazioni delle famiglie nobili più ricche di San fele e molti furono i morti. Così scrive PIER BATTISTA ARDOINI GOVERNATORE DEI DORIA a cui le terre di san Fele andarono nel 1613. Non saranno ancho 5 anni che successe una sotterranea alluvione, che sommerse e profondò più di 40 case, ma con meraviglia estraordinaria, perché si vedevano a pocho a pocho abbassare lintierii edificii, talchè quando i padroni si accorgevano, che si andavano sotterrando, avevano tempo di portare ancho via le robbe e sfratare ogni cosa, e fu di gran danno al luogho, procedendo della superfluità dacque sotterranee, che movendo il terreno e portandolo via, attrahevano poi il peso superiore.
Lo stesso Ardoino così descrive i cittadini Sanfelesi:  Li secolari si dividono in persone civili che si chiamano i Cappelli e plebee sono le Coppole. Fra primi vi sono li più discetti ossequiosi e civili e vi sono Doctori di molta intelligenza e superiorità dognaltra terra e sono di sottilissimo ingegno proportionato alla sottigliezza dellaria. Allincontro sono i coppulanti ladri, sicarij, poltroni e del tutto inimici del fatigare;questi appena nati maneggiano larmi, e non fanno altro studio né stimano gloria maggiore questo di essere, secondo il loro parlare, buoni scoppettieri. Ancora oggi i Sanfelesi per indicare forme di rispetto verso persone ed istituzioni usano il detto: togliersi còppele e cappièdde. Dopo due secoli di dominazione spagnola, il Regno di Napoli divenne provincia austriaca, ma rimase solo trentanni sotto gli Austriaci. Nel 1861, dopo l’unità d’Italia, un’altra banda di briganti, capeggiata da Carmine Donatello detto Crocco, infestò la zona, assediò San fele, ma non riuscì mai a prenderla. Da questo periodo San fele ha seguito un po’ tutte le vicende della storia italiana. L’emigrazione ha dimezzato la sua popolazione. La posizione geografica e la mancanza di rapidi collegamenti con altri paesi l’hanno in qualche modo isolata.
FONTE: 6 apr 1996 — Alla scoperta di un Paese Lucano… Classi II-III sez B scuola media statale ''G.Faggella'' San fele. La grafica di Lucchio.

Persone legate a San Fele

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