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giovedì 28 aprile 2011

Diritto della madre lavoratrice ad usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data d'ingresso del bambino nella casa familiare

In G.U. n. 16 del 13-4-2011 è pubblicata la Sentenza 4 aprile 2011 n. 116
Ecco la sentenza:
1a Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 16 del 13-04-2011
CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA 04 aprile 2011, n.116
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Lavoro e occupazione - Lavoratrici madri - Ipotesi di parto prematuro
con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o
privata - Diritto della madre lavoratrice ad usufruire del congedo
obbligatorio o di parte di esso dalla data d'ingresso del bambino
nella casa familiare - Mancata previsione - Eccepita
inammissibilita' della questione per richiesta di pronuncia
additiva non costituzionalmente obbligata - Reiezione.
- D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 16, lett. c).
- Costituzione, artt. 3, 29, primo comma, 31 e 37.
Lavoro e occupazione - Lavoratrici madri - Ipotesi di parto prematuro
con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o
privata - Diritto della madre lavoratrice ad usufruire, a sua
richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute
attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio o di
parte di esso dalla data d'ingresso del bambino nella casa
familiare - Mancata previsione - Ingiustificata disparita' di
trattamento tra il parto a termine ed il parto prematuro -
Contrasto con i precetti costituzionali posti a tutela della
famiglia -Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 16, lett. c).
- Costituzione, artt. 3, 29, primo comma, 31 e 37.

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente: Ugo DE SIERVO;
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA ,
Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO,
Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI;
ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 16 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Palermo nel
procedimento vertente tra C. C. e l'INPS ed altra con ordinanza del
30 marzo 2010, iscritta al n. 215 del registro ordinanze 2010 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, 1ª serie
speciale, dell'anno 2010.
Visto l'atto di costituzione dell'INPS;
udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore
Alessandro Criscuolo;
udito l'avvocato Antonietta Coretti per l'INPS.

Ritenuto in fatto

1. - Il Tribunale di Palermo, in funzioni di giudice del lavoro,
con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento
agli articoli 3, 29, primo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16
del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede, nell'ipotesi di
parto prematuro, qualora il neonato abbia necessita' di un periodo di
ricovero ospedaliero, la possibilita' per la madre lavoratrice di
usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data di
ingresso del bambino nella casa familiare».
2. - Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunziarsi
nel giudizio di merito, iniziato dalla signora C. C. nei confronti
dell'Istituto Nazionale della Previdenza sociale (INPS) e di Telecom
Italia Mobile (TIM) Italia Spa ai sensi dell'art. 669-octies del
codice di procedura civile ed espone che l'attrice, la cui figlia era
stata ricoverata fin dalla nascita presso il Policlinico di Palermo
in terapia intensiva, venendo dimessa soltanto l'8 agosto 2005, era
stata posta in congedo obbligatorio dall'INPS, in base all'art. 16
d.lgs. n. 151 del 2001, a far tempo dalla data del parto medesimo.
La lavoratrice aveva inoltrato all'ente previdenziale la
richiesta di usufruire del periodo obbligatorio di astensione con
decorrenza dalla data presunta del parto, oppure dall'ingresso della
neonata nella casa familiare, offrendo al datore di lavoro la propria
prestazione lavorativa fino ad una di tali date, ma l'INPS aveva
respinto detta richiesta.
Pertanto - aggiunge il rimettente - la parte privata aveva
promosso un procedimento cautelare ai sensi dell'art. 700 cod. proc.
civ., in esito al quale il Tribunale di Palermo, in accoglimento del
ricorso, aveva dichiarato il diritto della donna ad astenersi
dall'attivita' lavorativa a far data dall'8 agosto 2005 e per i
cinque mesi successivi, fissando il termine perentorio di trenta
giorni per l'inizio del giudizio di merito, instaurato con domanda
diretta ad ottenere la declaratoria del diritto della signora C. C.
ad astenersi dal lavoro per il periodo di tempo suddetto.
Cio' premesso, il giudicante - ritenuta rilevante la questione
sollevata, in quanto dalla dichiarazione d'illegittimita'
costituzionale della norma censurata dipenderebbe l'accoglimento
della domanda nel merito - richiama il dettato di tale norma che,
disciplinando il congedo di maternita', vieta di adibire al lavoro le
donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto,
salvo quanto previsto dall'art. 20 d.lgs. n 151 del 2001; b) ove il
parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la
data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi
dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del
parto, qualora esso avvenga in data anticipata rispetto a quella
presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di
maternita' dopo il parto. Inoltre, richiama il successivo art. 17 che
disciplina l'estensione del divieto, nonche' l'art. 18 il quale
sanziona con l'arresto fino a sei mesi l'inosservanza delle
disposizioni de quibus.
In questo quadro, il Tribunale osserva che l'art. 16 d.lgs. n.
151 del 2001 trova un precedente nell'art. 4 della legge 30 dicembre
1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), come modificato
dall'art. 11 della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il
sostegno della maternita' e della paternita', per il diritto alla
cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle
citta').
Il detto art. 4, poi abrogato con l'intera legge n. 1204 del 1971
dall'art. 86 d.lgs. n. 151 del 2001, stabiliva (tra l'altro) il
divieto di adibire al lavoro la donna durante i tre mesi dopo il
parto.
Questa Corte, con sentenza n. 270 del 1999, dichiaro'
l'illegittimita' costituzionale della norma, «nella parte in cui non
prevede(va) per l'ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei
termini del periodo dell'astensione obbligatoria idonea ad assicurare
una adeguata tutela della madre e del bambino».
Il rimettente osserva che, anche in base al tenore del citato
art. 16, la domanda della attrice, diretta ad usufruire dell'intero
periodo di congedo (tre mesi piu' due mesi) dalla data d'ingresso
della figlia nella casa familiare, ovvero dalla data presunta del
parto, non potrebbe essere accolta, neppure in via parziale, restando
l'obbligo del datore di lavoro, sanzionato penalmente, di non adibire
la donna al lavoro dopo il parto, per il periodo gia' detto.
Il Tribunale rileva che il giudice del procedimento cautelare ha
dato luogo ad una interpretazione sistematica e costituzionalmente
orientata, in guisa da consentire, nell'ipotesi in esame, la
decorrenza dell'intero periodo di congedo obbligatorio dal momento
dell'ingresso in famiglia della neonata. Ritiene, pero', di non poter
condividere la detta interpretazione, in quanto essa trova un
ostacolo non aggirabile per effetto del citato art. 18 d.lgs. n. 151
del 2001, il quale punisce l'inosservanza delle disposizioni
contenute negli artt. 16 e 17 con l'arresto fino a sei mesi.
Pertanto, ad avviso del rimettente, la nuova disciplina della
materia presenta gli stessi vizi di legittimita' costituzionale
riscontrati da questa Corte con riferimento all'art. 4 della legge n.
1204 del 1971, perche' il circoscritto intervento del legislatore non
sarebbe sufficiente.
La norma censurata, infatti, determinerebbe una ingiustificata
disparita' di trattamento, in violazione dell'art. 3 Cost., tra il
caso di parto a termine e quello di parto prematuro, consentendo
soltanto nel primo caso un'adeguata tutela della maternita' e la
salvaguardia dei diritti, costituzionalmente garantiti, dei minori e
del nucleo familiare (artt. 29, 30, 31, 37 Cost.).
Invero, come gia' sottolineato da questa Corte nella sentenza
citata, finalita' dell'istituto dell'astensione obbligatoria (oggi
congedo) dal lavoro sarebbe sia la tutela della puerpera, sia la
tutela del nascituro e della speciale relazione tra madre e figlio,
che si instaura fin dai primi attimi di vita in comune ed e' decisiva
per il corretto sviluppo del bambino e per lo svolgimento del ruolo
di madre.
La norma censurata, non prevedendo la possibilita' di differire
il congedo obbligatorio fino al momento in cui il bambino puo' fare
ingresso in famiglia dopo il ricovero successivo alla nascita, non
garantirebbe la suddetta esigenza di tutela, specialmente quando,
come nel caso in esame, la dimissione del bambino coincide con il
termine del congedo.
Inoltre, la detta norma non consentirebbe alla puerpera di
tornare al lavoro se non con il decorso di cinque mesi dal parto,
anche quando, pur non potendo svolgere il suo ruolo di madre e di
assistenza del minore affidato alle cure dei sanitari, le sue
condizioni di salute lo permetterebbero.
Sarebbe innegabile, dunque, che anche la norma in esame sia in
contrasto con il principio di parita' di trattamento e con i valori
costituzionali di protezione della famiglia e del minore, con
conseguente violazione dei predetti parametri costituzionali.
In definitiva, ad avviso del rimettente, la norma censurata non
ha colmato il vuoto normativo gia' posto in evidenza con la citata
sentenza della Corte costituzionale; e, a sostegno della necessita'
di un ulteriore intervento del giudice delle leggi, andrebbe
richiamato l'art. 14, comma 5, decreto del Presidente della
Repubblica 13 giugno 2002, n. 163 (Recepimento dello schema di
concertazione per le Forze armate relativo al quadriennio normativo
2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003), alla stregua del quale
«In caso di parto prematuro, al personale militare femminile spetta
comunque il periodo di licenza di maternita' non goduto prima della
data presunta del parto. Qualora il figlio nato prematuro abbia
necessita' di un periodo di degenza presso una struttura ospedaliera
pubblica o privata, la madre ha facolta' di riprendere servizio
richiedendo, previa presentazione di un certificato medico attestante
la sua idoneita' al servizio, la fruizione del restante periodo di
licenza di maternita' post-parto e del periodo ante-parto, qualora
non fruito, a decorrere dalla data di effettivo rientro a casa del
bambino».
3. - Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e' costituito
l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), depositando il
3 settembre 2010 una memoria, con la quale ha chiesto che la
questione sollevata dal rimettente sia dichiarata inammissibile o,
comunque, non fondata.
Dopo aver riassunto i fatti esposti nell'ordinanza di rimessione,
l'INPS osserva che, ad avviso del rimettente, la disparita' di
trattamento sussisterebbe tra «la fattispecie di parto e termine e
quella di parto prematuro», in quanto l'art. 16, comma 1, lettera d),
d.lgs. n. 151 del 2001 (nonche' le connesse disposizioni di cui agli
artt. 17 e 18 dello stesso decreto), nel disporre che, in caso di
parto prematuro, il congedo obbligatorio dal lavoro (cinque mesi) si
colloca soltanto nel periodo immediatamente successivo al parto,
consentirebbe che solo in caso di parto a termine si realizzi
«un'adeguata tutela della maternita' e una salvaguardia dei diritti,
costituzionalmente garantiti, dei minori e del nucleo familiare
(artt. 29, 30, 31, 37)».
Tale questione - prosegue l'Istituto - fu gia' affrontata da
questa Corte con la sentenza n. 270 del 1999. Con tale pronuncia
(cosiddetta additiva di principio), fu dichiarata l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 4, primo comma, lettera c) della legge n.
1204 del 1971 (ora art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001), nella parte
in cui non prevedeva, per l'ipotesi di parto prematuro, una
decorrenza dei termini del periodo di astensione obbligatoria idonea
ad assicurare un'adeguata tutela della madre e del bambino.
La citata sentenza indico' «delle possibili soluzioni da adottare
per risolvere la questione oggi in esame», aggiungendo che la scelta
spettava al legislatore.
Orbene, la norma qui censurata prevede (tra l'altro) il divieto
di adibire al lavoro le donne «durante gli ulteriori giorni non
goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata
rispetto a quella presunta rispetto a quella presunta. Tali giorni
sono aggiunti al periodo di congedo di maternita' dopo il parto».
Pertanto, ad avviso dell'INPS, il legislatore, in caso di parto
prematuro, avrebbe stabilito che il periodo di astensione
obbligatoria sia comunque pari a cinque mesi complessivi,
prescindendo dalla data del parto, e, qualora la nascita avvenga in
data anticipata rispetto a quella presunta, avrebbe previsto che i
giorni non goduti (cioe' quelli correnti tra la data presunta e
quella effettiva) siano aggiunti al periodo di astensione
obbligatoria dopo il parto. Tale soluzione sarebbe in armonia con
altre disposizioni del d.lgs. n. 151 del 2001 e, in particolare, con
l'art. 18 dello stesso decreto, che sanziona con l'arresto fino a sei
mesi l'inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17.
In altri termini, si sarebbe ritenuto inderogabile ancorare la
decorrenza del congedo obbligatorio alla data del parto.
In questo quadro l'Istituto eccepisce, in primo luogo,
l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale.
Infatti il legislatore del 2001, proprio a seguito della
menzionata sentenza n. 270 del 1999, avrebbe adottato una delle
possibili soluzioni idonee a porre rimedio all'impossibilita' di far
decorrere, nel caso di parto prematuro, l'intero congedo obbligatorio
dopo il parto effettivo, equilibrando cosi' la situazione tra il caso
di parto a termine e quello di parto prematuro.
Al contrario di quanto sostenuto dal giudice a quo, la richiesta
di pronuncia additiva non sarebbe costituzionalmente obbligata. Nella
vicenda in esame, la possibilita' di diverse soluzioni con le quali
risolvere il problema della decorrenza dell'astensione obbligatoria
in caso di parto prematuro sarebbe stata posta in evidenza dalla
stessa Corte costituzionale; circostanza, quest'ultima, che
confermerebbe come la questione sollevata rientri nell'ambito della
discrezionalita' del legislatore.
In ogni caso, la detta questione sarebbe non fondata.
La soluzione adottata dal legislatore sarebbe idonea a porre
rimedio all'impossibilita' di far decorrere, nel caso di parto
prematuro, l'intero congedo obbligatorio dopo il parto effettivo.
In realta', proprio l'invocato intervento additivo «non solo
comporterebbe un inammissibile esercizio della discrezionalita'
politica riservato al legislatore, ma darebbe anche origine ad
effettive disparita' di trattamento».
Infatti, un'eventuale diversa disciplina della decorrenza del
congedo obbligatorio per il caso di parto prematuro, con degenza
ospedaliera del neonato, determinerebbe un'effettiva discriminazione
rispetto al caso di parto a termine con neonato affetto da malattia
necessitante di ricovero ospedaliero.
I principi costituzionali richiamati dal rimettente sarebbero ben
salvaguardati sia dalla norma denunciata sia dagli altri istituti
contemplati dal vigente ordinamento, come il congedo per malattia del
figlio e il congedo facoltativo.
Sarebbe vero che la ratio dell'astensione obbligatoria e' volta
alla tutela del nascituro e della speciale relazione tra madre e
figlio, che s'instaura fin dai primi atti della vita in comune, ma
sarebbe vero del pari che tale istituto e' diretto anche a favorire
il recupero psico-fisico della partoriente. Consentire alla puerpera
di rientrare al lavoro subito dopo il parto potrebbe dar luogo ad un
abbassamento della tutela della sua salute.
Infine, il richiamo all'art. 14, comma 5, d.P.R. n. 163 del 2002
non sarebbe pertinente, in quanto tale normativa non potrebbe
costituire un idoneo tertium comparationis, dato il suo carattere
eccezionale, «siccome riferita ad una categoria di lavoratrici che
presta prestazioni lavorative del tutto speciali (personale
militare), non estensibile, pertanto, fuori del sistema considerato».
Il Presidente del Consiglio dei ministri non e' intervenuto nel
presente giudizio.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Palermo, in funzioni di giudice del lavoro,
con l'ordinanza indicata in epigrafe, dubita - in riferimento agli
articoli 3, 29, primo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della
Costituzione - della legittimita' costituzionale dell'art. 16 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternita' e della paternita', a norma dell'art. 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede, nell'ipotesi di
parto prematuro, qualora il neonato abbia necessita' di un periodo di
ricovero ospedaliero, la possibilita' per la madre lavoratrice di
usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data di
ingresso del bambino nella casa familiare».
2. - Il giudice a quo premette che una lavoratrice dipendente -
avendo avuto un parto prematuro perche' la figlia, la cui nascita era
prevista per il primo luglio 2005, era venuta alla luce il 25 marzo
2005, con immediato ricovero in terapia intensiva presso il
Policlinico di Palermo, da cui era stata dimessa soltanto l'8 agosto
2005 - aveva chiesto all'Istituto nazionale della previdenza sociale
(INPS) di usufruire del periodo obbligatorio di astensione con
decorrenza dalla data presunta del parto, oppure dall'ingresso della
neonata nella casa familiare, offrendo al datore di lavoro la propria
prestazione lavorativa fino ad una di tali date, ma l'INPS aveva
respinto la richiesta. Pertanto la lavoratrice aveva promosso, nei
confronti del detto Istituto e di Telecom Italia Mobile (TIM) Italia
Spa, un procedimento cautelare ai sensi dell'art. 700 del codice di
procedura civile, in esito al quale il Tribunale di Palermo,
accogliendo il ricorso, aveva dichiarato il diritto della donna ad
astenersi dall'attivita' lavorativa a far data dall'8 agosto 2005 e
per i cinque mesi successivi, fissando il termine perentorio di
trenta giorni per l'inizio del giudizio di merito, che era stato
instaurato con domanda diretta ad ottenere la declaratoria del
diritto dell'attrice all'astensione dal lavoro per il periodo di
tempo suddetto.
Cio' premesso, il Tribunale osserva che la norma censurata trova
un precedente nell'art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204
(Tutela delle lavoratrici madri), come modificato dall'articolo 11
della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della
maternita' e della paternita', per il diritto alla cura e alla
formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta'). Il detto
art. 4, poi abrogato con l'intera legge n. 1204 del 1971 dall'art. 86
del d.lgs. n. 151 del 2001, stabiliva (tra l'altro) il divieto di
adibire al lavoro la donna durante i tre mesi dopo il parto.
Il rimettente ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza
n. 270 del 1999, dichiaro' l'illegittimita' costituzionale del
medesimo art. 4, «nella parte in cui non prevede(va) per l'ipotesi di
parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo
dell'astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela
della madre e del bambino». Osserva che, anche in base al tenore del
citato art. 16, la domanda dell'attrice, diretta ad usufruire
dell'intero periodo di congedo (tre mesi piu' due mesi) dalla data
d'ingresso della figlia nella casa familiare, ovvero dalla data
presunta del parto, non potrebbe essere accolta, restando l'obbligo
del datore di lavoro, sanzionato penalmente (art. 18 d.lgs. n. 151
del 2001), di non adibire la donna al lavoro dopo il parto, per il
periodo gia' detto.
Inoltre egli rileva di non poter condividere l'interpretazione
compiuta dal giudice cautelare, avuto riguardo alla sanzione penale
prevista dal citato art. 18 per l'inosservanza delle disposizioni
contenute nell'art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001, e solleva
questione di legittimita' costituzionale dello stesso art. 16, in
riferimento ai parametri sopra indicati (come esposto in narrativa).
3. - In via preliminare, la difesa dell'INPS ha eccepito
l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale,
sostenendo che il legislatore del 2001, a seguito della sentenza di
questa Corte n. 270 del 1999, avrebbe adottato «una delle possibili
soluzioni idonee a porre rimedio all'impossibilita' di far decorrere,
nel caso di parto prematuro, l'intero congedo obbligatorio dal lavoro
dopo il parto effettivo, equilibrando cosi' la situazione tra la
fattispecie di parto a termine e quella di parto prematuro».
Pertanto, la richiesta pronuncia additiva non sarebbe
costituzionalmente obbligata, ma rientrerebbe tra le scelte possibili
rimesse alla discrezionalita' del legislatore, come, del resto,
proprio questa Corte avrebbe posto in evidenza con la statuizione
sopra indicata.
L'eccezione non e' fondata.
E' vero che la sentenza n. 270 del 1999, dopo aver rilevato
«l'incongruenza della disposizione in parola nell'ipotesi di parto
prematuro», osservo' che si proponevano diverse soluzioni «con
specifico riguardo alla decorrenza del periodo di astensione,
spostandone l'inizio o al momento dell'ingresso del neonato nella
casa familiare, o alla data presunta del termine fisiologico di una
gravidanza normale» (punto 5 del Considerato in diritto). La stessa
sentenza mise in luce che la prima soluzione era analoga a quella
relativa all'ipotesi di affidamento preadottivo del neonato (sentenza
n. 332 del 1998), mentre la seconda era parsa meritevole di essere
seguita dal disegno di legge n. 4624, recante «Disposizioni per
sostenere la maternita' e la paternita' e per armonizzare i tempi di
lavoro, di cura e della famiglia», presentato dal Governo alla Camera
dei Deputati in data 3 marzo 1998. Essa aggiunse che «La scelta tra
le diverse possibili soluzioni spetta al legislatore», pervenendo
comunque alla declaratoria d'illegittimita' costituzionale dell'art.
4, primo comma, lettera c) della legge n. 1204 del 1971, nella parte
in cui non prevedeva per l'ipotesi di parto prematuro una decorrenza
dei termini del periodo dell'astensione obbligatoria idonea ad
assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino.
Cio' posto, a parte quanto sara' detto di qui a poco, allorche'
si esaminera' il merito della questione, una riflessione ulteriore va
compiuta in ordine al carattere, vincolato o discrezionale,
dell'individuazione della data dalla quale far decorrere il congedo
obbligatorio di maternita' nell'ipotesi di parto prematuro.
Essa non puo' decorrere dalla data presunta del termine
fisiologico di una gravidanza normale. Questo criterio e'
giustificato per calcolare i due mesi precedenti la data presunta del
parto (art. 16, lettera a, d.lgs. n. 151 del 2001), perche' e'
l'unico utilizzabile in relazione ad un evento non ancora avvenuto,
il cui avveramento pero' e' ragionevolmente certo e riscontrabile.
Non altrettanto puo' dirsi nel caso di parto prematuro, perche' in
detta circostanza con il richiamo alla data presunta si opera un
riferimento ipotetico ad un evento che, in realta', e' gia' avvenuto,
onde il criterio si risolve in una mera fictio che non consente la
verifica della sua idoneita' ad assicurare una tutela piena ed
adeguata della madre e del bambino per l'intero periodo di spettanza
del congedo. Del resto, lo stesso legislatore, collegando rigidamente
il decorso del congedo post partum alla data del parto, mostra di
volere per la detta decorrenza un riferimento certo.
Pertanto, per individuare il dies a quo della decorrenza del
periodo di astensione in caso di parto prematuro, resta la soluzione
di ancorare - al termine del ricovero - la relativa data all'ingresso
del neonato nella casa familiare, vale a dire ad un momento certo,
sicuramente idoneo a stabilire tra madre e figlio quella comunione di
vita che l'immediato ricovero del neonato nella struttura ospedaliera
non aveva consentito. Tale soluzione, dunque, appare l'unica
percorribile, con conseguente infondatezza dell'eccezione sollevata
dall'ente previdenziale.
4. - Nel merito, la questione e' fondata.
Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte
(sentenze n. 270 del 1999, n. 332 del 1988, n. 1 del 1987), il
congedo obbligatorio, oggi disposto dall'art. 16 d.lgs. n. 151 del
2001, senza dubbio ha il fine di tutelare la salute della donna nel
periodo immediatamente susseguente al parto, per consentirle di
recuperare le energie necessarie a riprendere il lavoro. La norma,
tuttavia, considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo
si instaura tra madre e figlio, e cio' non soltanto per quanto
attiene ai bisogni piu' propriamente biologici, ma anche in
riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo
collegate allo sviluppo della personalita' del bambino.
Il citato art. 16, che apre il capo recante la disciplina del
congedo di maternita', vieta di adibire al lavoro le donne: a)
durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo
quanto previsto all'art. 20 (che contempla la flessibilita' del detto
congedo); b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo
intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c)
durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'art. 20.
La lettera d), infine, dispone che il divieto opera anche durante gli
ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora esso avvenga in
data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti
al periodo di congedo di maternita' dopo il parto.
Come si vede, il principio secondo cui il congedo obbligatorio
post partum decorre comunque dalla data di questo e' rimasto
immutato, anche in relazione ai casi, come la fattispecie in esame,
nei quali il parto non e' soltanto precoce rispetto alla data
prevista, ma avviene con notevole anticipo (cosiddetto parto
prematuro), tanto da richiedere un immediato ricovero del neonato
presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, dove deve
restare per periodi anche molto lunghi.
In siffatte ipotesi - come questa Corte ha gia' avuto occasione
di rilevare (sentenza n. 270 del 1999) - la madre, una volta dimessa
e pur in congedo obbligatorio, non puo' svolgere alcuna attivita' per
assistere il figlio ricoverato. Nel frattempo, pero', il periodo di
astensione obbligatoria decorre, ed ella e' obbligata a riprendere
l'attivita' lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa.
Ne' per porre rimedio a tale situazione puo' considerarsi sufficiente
aggiungere al periodo di congedo di maternita' dopo il parto gli
ulteriori giorni non goduti prima di esso, trattandosi comunque di un
periodo breve (al massimo due mesi), che non garantisce la
realizzazione di entrambe le finalita' (sopra richiamate)
dell'istituto dell'astensione obbligatoria dal lavoro.
Basta considerare che, nel caso di specie, rispetto alla data
prevista per il 1° luglio 2005, la bambina venne alla luce il 25
marzo 2005 e rimase ricoverata in ospedale fino all'8 agosto 2005,
vale a dire quasi per l'intera durata dell'astensione obbligatoria
della madre ante e post partum.
In simili casi, com'e' evidente, il fine di proteggere il
rapporto, che dovrebbe instaurarsi tra madre e figlio nel periodo
immediatamente successivo alla nascita, rimane di fatto eluso. Tale
situazione e' inevitabile quando la donna, per ragioni di salute
(alla cui tutela il congedo obbligatorio post partum e' anche
finalizzato), non possa riprendere l'attivita' lavorativa e, quindi,
debba avvalersi subito del detto congedo. Non altrettanto puo' dirsi
quando sia la stessa donna, previa presentazione di documentazione
medica attestante la sua idoneita' alle mansioni cui e' preposta, a
chiedere di riprendere l'attivita' per poter poi usufruire del
restante periodo di congedo a decorrere dalla data d'ingresso del
bambino nella casa familiare.
In detta situazione l'ostacolo all'accoglimento di tale
richiesta, costituito dal rigido collegamento della decorrenza del
congedo dalla data del parto, si pone in contrasto sia con l'art. 3
Cost., sotto il profilo della disparita' di trattamento - privo di
ragionevole giustificazione - tra il parto a termine e il parto
prematuro, sia con i precetti costituzionali posti a tutela della
famiglia (artt. 29, primo comma, 30, 31 e 37, primo comma, Cost.).
La tesi dell'ente previdenziale, secondo cui i principi dettati
sarebbero ben salvaguardati da altri istituti contemplati nel vigente
ordinamento, come il congedo per malattia del figlio e il congedo
facoltativo, non puo' essere condivisa. Si tratta, infatti,
d'istituti diversi, diretti a garantire una tutela diversa e
ulteriore, che pero' non possono essere invocati per giustificare la
carenza di protezione nella situazione ora evidenziata.
Quanto alla decorrenza del congedo obbligatorio dopo il parto, in
caso di parto prematuro con ricovero del neonato presso una struttura
ospedaliera pubblica o privata, essa va individuata nella data
d'ingresso del bambino nella casa familiare al termine della degenza
ospedaliera. Si richiamano, al riguardo, le considerazioni svolte nel
punto 3 che precede.
5. - Pertanto, deve essere dichiarata l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 16, lettera c), d.lgs. n. 151 del 2001,
nella parte in cui non consente, in caso di parto prematuro con
ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata,
che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e
compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da
documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di
parte di esso, a far tempo dalla data d'ingresso del bambino nella
casa familiare.
Infine, e' il caso di chiarire, con riguardo all'art. 18 d.lgs.
n. 151 del 2001, che punisce con l'arresto fino a sei mesi
l'inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17 del
medesimo decreto, che la suddetta pronuncia non estende l'area della
punibilita' della fattispecie penale. Essa, infatti, non modifica i
destinatari della norma ne' la sanzione, limitandosi ad introdurre
per la donna lavoratrice la facolta' di ottenere una diversa
decorrenza del congedo obbligatorio, che rimane pur sempre
nell'ambito applicativo della norma censurata.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 16,
lettera c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno
della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della
legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consente,
nell'ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una
struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice
possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni
di salute attestate da documentazione medica, del congedo
obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla
data d'ingresso del bambino nella casa familiare.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.

Il Presidente: De Siervo
Il redattore: Criscuolo
Il cancelliere: Melatti
Depositata in cancelleria il 7 aprile 2011.

Il direttore della cancelleria: Melatti

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